Sulla home-page del sito TDI/SDI è uscito nel mese di aprile un interessante articolo di Bret Gilliam, autentico guru della subacquea tecnica, sulle “vere” ragioni per le quali si sono sviluppati modelli decompressivi che prevedevano l’uso di miscele iperossigenate.
Un articolo vivace e curioso che abbiamo cercato di tradurre anche nello spirito, integrandolo con qualche foto per spezzare il manoscritto.
Buona lettura, l’originale è naturalmente disponibile sul sito con una breve storia della vita di Bret:
https://www.tdisdi.com/tdi-diver-news/looking-back-on-innovating-decompression-protocols/
”L’era delle tabelle di immersione come unico metodo di calcolo dei piani di immersione è in gran parte dimenticato da molti nel mondo “moderno” dei computer subacquei elettronici e la pletora di algoritmi e modelli di deco che ora sono disponibili.
Da lungo tempo sono un sostenitore dell’innovazione e delle nuove tecnologie, sono stato un portavoce di spicco durante la transizione ai computer subacquei, al nitrox, alle miscele per immersioni profonde, ed ai rebreather a partire alla fine del 1980.
Ma il mio primo coinvolgimento con relative deviazioni dalle pratiche standard fu nel gennaio 1971, lavorando su un progetto sperimentale di immersione profonda della USNavy quando eravamo assegnati alla realizzazione di un film su sottomarini veloci d’attacco in mare aperto a profondità che potevano alla fine superare i 150 metri. A quel tempo, tutte le immersioni della USNavy venivano eseguite con l’uso di tabelle decompressive e c’erano veramente poche scelte.
Abbiamo lavorato con esposizioni “standard” per immersione singola, “ripetitive” per immersioni ripetute, esposizioni “eccezionali” e “heliox” ovvero con l’uso di elio ed l’ossigeno per gestire sia gli effetti della narcosi sia quelli della tossicità da ossigeno. Certo, c’erano anche tabelle con impostazione predefinite in caso di omessa decompressione a causa di contingenze. Ma c’erano poche scelte.
Per la maggior parte, queste tabelle hanno funzionato bene. Una cosa che è interessante notare è che la massima pressione parziale di ossigeno utilizzata era con una PO2 di 2.0 ATA. Questo ha permesso di immergersi ad aria fino a 90 metri. Più tardi i limiti PO2 sono stati ridotti a 1.6ATA ma questo derivava dalla applicazione dei protocolli della NOAA che hanno stabilito che una parte della popolazione non poteva tollerare PO2 elevate.
Nelle immersioni militari quando sono intervenuto nel progetto, i protocolli tendevano ad essere determinati dalla priorità del progetto, questo era comune durante il culmine della guerra fredda e la realizzazione di sottomarini d’attacco veloce ed il più possibile non tracciabili era proprio in cima alla lista. Così siamo stati incoraggiati alla innovazione se necessario per raggiungere il risultato. Col senno di poi, vale anche la pena far notare che il nostro team d’immersione è stato probabilmente considerato “sacrificabile” nello spirito di raggiungere il risultato e noi abbiamo preso consapevolezza di questo in breve tempo. La maggior parte dei sommozzatori della USNavy erano fisicamente collegati alla superficie ed il gas di respirazione veniva fornito dall’alto, questo ad eccezione delle immersioni poco profonde oppure con ossigeno al 100% a 1 ATA con i progetti rebreather. (naturalmente, il progetto di saturazione di Sea Lab ci aveva preceduto, ma in questo caso i sub erano essenzialmente confinati all’interno di un habitat con una gamma di attività ristretta).
Siamo stati tra i primi gruppi che avrebbero lavorato senza collegamento in superficie, in totale autonomia, con più bombole e senza i benefici di una decompressione in camera a bordo della nave, con la necessità dunque di compiere la decompressione in acque libere.
C’è molto da imparare da alcune di queste situazione che si discostano dagli standard e dalle discussioni interne che seguirono, ma la priorità della missione era il raggiungimento della “bottom line” ovvero farci operare al di sotto del termoclino (tipicamente nei Caraibi sotto i 150 metri) e fare il lavoro cinematografico finalizzato ad ottimizzare il design per rendere i sottomarini nucleari più silenziosi e impercettibile ai sovietici.
Ero stato assegnato ad un team che lavorava nella Fossa delle Isole Vergini, con una profondità di oltre 3000 metri, mentre altri team stavano facendo un lavoro simile alle Andros Island nelle Bahamas. Queste squadre includevano pionieri come Jordan Klein che era conosciuto anche per il suo lavoro nei film di Hollywood come “Thunderball”, dove Sean Connery recitava la parte dell’agente segreto James Bond in avventure subacquee.
Quando abbiamo appreso che avremmo operato con imbarcazioni “leggere” ed avremmo dovuto condurre di conseguenza lunghe decompressioni in oceano aperto questo non ha inizialmente causato in noi nessun tipo di allerta. Tuttavia, una volta che abbiamo iniziato le operazioni abbiamo incontrato un pericolo del tutto inaspettato. Ognuno di noi è probabilmente a conoscenza della moltitudine di squali oceanici pinna bianca, una specie pelagica nota per il comportamento aggressivo. Quello che non sapevamo allora era che la loro aggressività veniva amplificata dalla emissione di onde sonore a bassa frequenza, onde che venivano utilizzate per calibrare i vari dispositivi sonar e dagli stessi sub con i loro sistemi di comunicazione.
Fu solo molti anni dopo che si comprese il rapporto che esisteva tra i suoni a bassa frequenza, e di altri stimoli, come il rumore emessi durante gli affondamenti di navi, mentre crollavano i compartimenti o lo schianto di un aereo in mare, e l’atteggiamento degli squali che diventavano più minacciosi ed era praticamente chiusa ogni possibilità di contrastare i loro violenti attacchi.
A volte entravamo in acqua per le normali immersioni di routine ed esercizi ed incontravamo 10-15 squali oceanici senza problemi, se non che si avvicinano curiosi, e potevano essere allontanati da un botto sul muso o azioni simili.
Tuttavia, una volta che sono stati introdotti suoni a bassa frequenza e altri stimoli, sia il loro numero e sia la loro aggressività tendevano ad andare fuori scala.
Cosi invece di squali che in genere sono tranquilli, dovevamo affrontarne a dozzine che crescevano fino a centinaia alla volta. E tutti sembravano decisi a mordere qualsiasi cosa che incontrassero. Essi addentavano pezzi della nave, pezzi delle aste, attrezzature che erano calate in acqua, cavi distesi, e qualsiasi cosa che fosse entrato nel loro universo marino. Dal nostro punto di vista piuttosto egoista, non eravamo particolarmente preoccupati che si precipitassero a mordere le scalette d’imbarco, ma piuttosto che avessero la tendenza a voler mordere noi, pinne, bombole, custodie per macchine fotografiche, e cosa più importante: parti del corpo.
Ci sono stati momenti in cui l’equipaggio doveva sporgersi dalla poppa della nave sopra i ponti di immersione per spingere via gli squali con gli uncini ed i mezzi-marinai solo per fare un “buco” nel mare da dove poter entrare in acqua.
Non era per i deboli di cuore. Una volta iniziate le discese, abbiamo scoperto che gli squali perdevano interesse per i subacquei quando superavamo i 25 metri di profondità e tornavano ad abusare della nave e delle sue attrezzature. Ma quando risalivamo dalle immersioni profonde, ed entravamo nei lunghi cicli di decompressione ci hanno costretto in una guerra costante e comportamenti evasivi per proteggerci: era più di un pizzico di follia.
Così abbiamo iniziato a sperimentare qualcosa che ci facesse uscire dall’acqua più velocemente, senza aumentare il rischio intrinseco ed eliminando le sovra saturazioni dei gas respirati che dettavano il nostro tempo di decompressione. La prima cosa che abbiamo fatto è iniziare la collaborazione con alcuni fisiologi civili in Canada di una società chiamata BioLab; questi erano affascinati di avere soggetti umani per sperimentare alcune delle loro teorie (beta-test) sui metodi poi ampiamente provati del cambiamento di decompressione da innovazioni nell’uso sia dell’ossigeno puro sia da quello che loro chiamavano “oxy-air”. Questo gas in seguito sarebbe diventato noto come “nitrox” o “aria arricchita”. Diamine, avrebbero potuto chiamare questo gas “mistero magico” per quanto eravamo preoccupati di uscire dall’acqua più velocemente e lontano dagli squali predatori che non avevano mai cessato di sgranocchiare la nostra attrezzatura … e noi … durante le lunghe soste .
La prima deviazione dal protocollo US-Navy era di iniziare il passaggio a ossigeno profondo a 18 metri con una PO2 di 2.8 ATA. Questo superava l’esposizione all’ossigeno massima consentita per i subacquei professionisti, ma era esattamente la stessa pressione che si aveva in camera senza la sicurezza e il comfort di una camera di decompressione.
Abbiamo adottato pratiche per ridurre il poco sforzo fisico possibile per diminuire al minimo la produzione di anidride carbonica (CO2), che era nota per avere un effetto scatenante per la tossicità O2 e le convulsioni. I nostri metodi hanno funzionato ed abbiamo tagliato i nostri tempi di deco di ben il 50%.
La innovazione successiva è stata quello di passare a “oxy-air” o miscele di nitrox più in profondità, e adeguare i livelli di PO2 alla propria tolleranza. Questo tagliò ancora più drammaticamente nostri tempi deco.
Va ricordato che questo accadeva nel gennaio del 1971, oltre 44 anni fa. Non c’erano i cellulari, non c’era Sat-Phones, a malapena c’erano i telefoni fissi di St. Croix e chiamare Toronto in Canada era assurdamente costoso. Non c’era nessuna e-mail o fax per comunicare rapidamente i risultati delle nostre immersioni quotidiane ed i risultati delle deco; il nostro dialogo avveniva con “snail mail” e richiedeva settimane per inviare i nostri commenti ed ottenere i suggerimenti di BioLab.
A volte quando potevamo telefonare e chiamavamo in seguito ad un nuovo beta-test per suggerire una pianificazione più aggressiva, quando ci rispondevano, coglievamo dall’altra parte la sorpresa che fossimo ancora vivi. Ma velocemente si procedeva per suggerire le prossime evoluzioni. E’ stato un utile ed interessante processo ed ha messo le basi per cambiamenti epocali nelle immersioni.
Ma per il nostro team era molto importante che tutto questo ci aiutasse ad uscire dall’acqua più velocemente e lontano dagli squali ….”